La Stampa (Milano) Domenica 31 Marzo 1996

Le mani su Beethoven History Home

Una incredibile Genio arruolato da destra e sinistra "fortuna politica"

LONDRA
COME il patologico capobanda di Arancia meccanica cercava in Beethoven la giustificazione per stuprare e uccidere, così i dottor Mengele della propaganda nazista ne stravolsero il corredo genetico: lo trasformarono nell'araldo dell'imperialismo nordico. Tanta perversione non fioriva dal nulla: già la Germania guglielmina aveva proclamato il compositore l'alter ego musicale di Bismarck. Ogni parte politica tedesca, dal 1870 in poi, si è accapigliata sulle spoglie dell' Eroica e della Nona . I socialisti tra le due guerre leggevano nelle sinfonie il manifesto musicale che annunciava la riscossa dei lavoratori; per il regime della Ddr, avevano anticipato Marx. Al concerto per la caduta del Muro nell'89, l' Inno alla gioia fece venire le lacrime agli occhi ai tedeschi, che oltre a celebrare volevano forse rassicurare il mondo sull'universalità delle loro intenzioni di fratellanza; ma per qualcuno, specialmente Oltremanica, in quelle note riverberavano ancora i clangori della guerra e le pretese di supremazia ariana. Oggi il libro di un giovane studioso, David B. Dennis, che uscirà da Yale University Press in maggio, vuole mettere ordine tra le interpretazioni di Beethoven che hanno sempre avuto una parte vitale nella politica tedesca.

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Beethoven in German politics, 1870-1989 dimostra finalmente che tutti i compatrioti del compositore hanno cercato di poter dire: "Ludwig appartiene a noi". Con dovizia di materiale dissepolto da giornali d'epoca e archivi inviolati, l'autore spiega che la lotta per l'interpretazione di Beethoven è stata feroce quanto la storia del Paese. Ma perché proprio lui piuttosto che Schumann o Wagner? "La sofferenza gli ha guadagnato il suo posto di spicco nella cultura politica della Germania", premette Dennis. A interessare la propaganda sono sempre state più le sue opere eroiche che gli ultimi difficili quartetti. Fin dal primo festival di Dresda del 1870, Beethoven compariva in poemi e drammi come un patriota francofobo che "partecipava ai fatali eventi" militari e guidava gli eserciti prussiani alla vittoria. Il suo busto si ergeva sinistramente fra le torce dei fedeli che inneggiavano: "Germania! Germania!". Bismarck lo eresse a simbolo della bellicosità nazionale: "Mi infonde coraggio", diceva.

Che le credenziali repubblicane e libertarie di Beethoven derivassero dalla Rivoluzione francese era un particolare che i militaristi, convinti di unire "la fanteria e la cavalleria" nell' Eroica , sceglievano di ignorare. Fra tutti, Wagner è il principale colpevole dell'equazione tra arte e gesta "germaniche" di Ludwig van (contestatissimo da Nietzsche, per il quale Beethoven era l'Europeo del futuro). Mentre Engels, innamorato dell' Appassionata , rimaneva curiosamente neutro sull'ideologia della musica beethoveniana, le interpretazioni razziste fiorivano. Il protonazista Houston Stewart Chamberlain, portavoce di Bayreuth, discerneva in Beethoven "la lingua di una razza superiore". La pseudoscienza eugenetica di fine secolo si preoccupava, quarant'anni prima di Hitler, di trovare a tutti i costi tratti nordici nel viso del compositore e reagiva furiosamente quando la Lega contro l'antisemitismo rilevava che "Beethoven era piccolo, con la testa larga, i capelli neri e la pelle bruna".

Nel frattempo il movimento socialista coltivava l'immagine del compagno Beethoven. La Nona era in special modo la profezia della vittoria a venire per la causa dei lavoratori. La "prima" assoluta della sinfonia, "eseguita dagli operai, per gli operai" fu il grande evento del 1905. "E' stata creata per le masse, e solo oggi le ha raggiunte", scrisse l'ideologo Eisner, per il quale le esecuzioni della musica beethoveniana sarebbero dovute diventare il catechismo dell'anima rivoluzionaria. Ma durante la prima guerra mondiale ben poche voci, salvo le eccezioni pacifiste alla Hesse, si levarono per protestare contro i manifestini in cui Beethoven era raffigurato nell'atto di proteggere dall'alto un campo di battaglia, oppure contro i giornalisti che proponevano di organizzare volantinaggi aerei di spartiti beethoveniani sulle trincee per tener alto il morale. A conflitto finito, gli spartachisti di Liebknecht e Luxemburg connettevano apertamente Beethoven e lotta di classe, e il giornale Die rote Fahne (Bandiera rossa) scriveva: "Oggi egli serebbe considerato con sospetto come un estremo pericolo per lo Stato". Il suo comportamento egualitario con l'aristocrazia, i suoi ideali giacobini e la sua avversione alla tirannia facevano di lui "il poeta in musica della Democrazia". Dell'"eterno ribelle" e "figlio della rivoluzione" si esaltavano "le radici proletarie": il grand'uomo della classe lavoratrice conduceva il Quarto Stato verso l'utopia socialista.

Tutto questo mentre la destra revanscista covava odio per la Repubblica di Weimar come "lo Stato anti-beethoveniano" in cui la politica culturale proletaria aveva il permesso di esprimersi. Giornali come Der Tag azzardavano che "se Beethoven fosse vissuto oggi, avrebbe ammirato Mussolini così come aveva rispettato Napoleone". La terminologia è la stessa ancor oggi scimmiottata dai neonazisti: un intellettuale come il musicologo Sandberger annotò che "il pugno sollevato da Beethoven appena prima di morire splende oggi come un simbolo che dice: vergognati se il materialismo, la meccanizzazione, l'orientalismo, l'americanismo e l'internazionalismo cambieranno la tua natura". Da qui agli arrampicamenti sugli specchi dell'ideologo Eichenauer, che per conto di Hitler dissipò tutti i dubbi sull'"impurità" razziale di Beethoven, il passo fu breve. La purga delle sospette tendenze quasi socialiste e cosmopolite di Beethoven fu brutale.

Le pretese di territorialità su Beethoven avanzate dalla Germania dell'Est nel dopoguerra riecheggiarono, anche se in modo difensivo e non certo altrettanto bellicoso, la paranoia nazista. "Gli americani hanno disseminato di bombe la valle del Reno, se continua così la terra natale di Beethoven non esisterà più", ululava un pamphlet nel 1952. Ai propri cittadini la Ddr spiegava che Beethoven avrebbe dovuto essere tolto agli "imperialisti barbarici e antiumanisti" della Germania occidentale, che avevano perduto il diritto di goderlo. Ludwig van recuperò non soltanto il suo status di combattente per la libertà, ma, grazie anche al fatto che piaceva a Lenin, divenne l'anticipatore delle teorie marxiste.

Socialismo reale in musica
C'è di più. I Musikpolitiker della cortina di ferro sostenevano che Beethoven aveva predetto nientemeno che la fondazione della Ddr: "Ha formulato in musica idee che si sarebbero avverate solo nel nostro socialismo reale". Walter Ulbricht, padre fondatore del Paese, esortò i connazionali a vedere nella Nona un ritratto visionario della Germania comunista.

Beethoven l'universalista è rinato in Germania federale prima del crollo del Muro. "Che Beethoven possa ispirare i tedeschi a diventare fratelli non soltanto fra di loro, ma di tutto il mondo", conclude emotivamente l'autore. La travagliata Germania stavolta non mette colori al "Kuss der ganzen Welt", il "bacio a tutto il mondo" impartito dalla Nona .

Maria Chiara Bonazzi

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